Il San Carlo, la Scarlatti e i Turchini: tre inaugurazioni di grande personalità e qualità che hanno segnato il mese di ottobre.
Tre ouverture di Stagione, servite su un vassoio particolarmente convincente ed elegante dalle maggiori istituzioni culturali napoletane in campo musicale: una combinazione che va accolta con grande entusiasmo, perché fa intravedere uno spirito che oltre la qualità indiscutibile dell'offerta artistica, va plaudito per la grande personalità (potremmo dire anche coraggio), proponendo tutte, in questo mese di ottobre, un'atmosfera di rarità e complessità certamente non scontate come offerta al pubblico nella fase iniziale della programmazione.
Al San Carlo Mahler e Ligeti
Anzi, prima Ligeti e poi Mahler: il Direttore Juraj Valčuha ha valicato diversi confini, per scegliere questi due brani e porli in tale sequenza logica: per il concerto inaugurale del Teatro di San Carlo ecco Gyorgy Ligeti aprire la serata con Lontano per grande orchestra (1967). La musica di Ligeti, compositore ungherese noto al grande pubblico soprattutto per aver accompagnato capolavori cinematografici di Stanley Kubrick (“Shining” e “2001 Odissea nello Spazio”), ha impegnato l'Orchestra del Teatro di San Carlo con la sua struttura poetica tendente all'infinito, le sospensioni spettrali e dilatate, le sostanze che si ascoltano come eterne, tutto ottimamente reso dai maestri sul palcoscenico.
Das Lied von der Erde (Il canto della terra) - Sinfonia per contralto tenore e orchestra (1911) di Gustav Mahler ha poi mantenuto il continuum concettuale: il lavoro proviene da «Il flauto cinese» di Hans Bethge, e fu stampato ed eseguito solo dopo la sua scomparsa. Ed il presentimento del commiato stesso, si può dire che ammanti l'intera composizione, un ripiegamento che seguì l'opposto spirito dell'Ottava, una strada non finita ma soltanto aperta grazie alle tristi liriche cinesi che Mahler trasformò in Lieder per orchestra destinati ad una Sinfonia (inconsapevole contribuito alla beffa della Storia sul numero delle sinfonie...).
Nel cantare i Lieder, rimasti piuttosto staccati e non organici nella struttura sinfonica, il contralto Daniela Sindram e il tenore Eric Cutler hanno giustamente dato diverso risalto alle emozioni che scaturiscono dal nucleo della scala pentafonica priva di semitoni: scelta alquanto classica, nel momento in cui la cultura occidentale viaggia in Catai per avvicinarsi a quei caratteri musicali, ed in questo caso alle parole di quattro poeti di epoca T'ang (VII - X sec). Il contralto infatti affronta un canto trasognato e triste, mentre il tenore cerca approdi bucolici dal vissuto finanche bacchico, tutto risolvendosi nel finale con una tensione che sembra legarsi ancora a Ligeti, in quell'ultima pronunciazione (sempre, sempre...) nel Der Abschied fortemente voluta da Mahler pensando a sé stesso, sospesa, ripetuta e ancora ripetuta: “Ewig... ewig...”.
La Scarlatti e il "suo" Scarlatti
Con La Giuditta, oratorio in due parti di Alessandro Scarlatti eseguito dalla Cappella Neapolitana diretta da Antonio Florio, la seconda ouverture tocca un simbolo della scuola musicale napoletana, ospitata dall'Associazione Alessandro Scarlatti, che da lui prese anche il nome. Pur distinguendosi per la varietà dei linguaggi musicali, pur incastonando la musica barocca e il jazz con grandi esecuzioni di solisti ed ensemble, la Scarlatti non poteva che "dedicarsi" l'inaugurazione, continuando di fatto la celebrazione del centenario della fondazione.
L’opera affronta la narrazione biblica della spedizione militare a Gerusalemme dell’esercito del re degli Assiri Nabucodonosor sotto il comando del generale Oloferne; Giuditta sembra la sola ad avere il coraggio di resistere, invocando un gesto di Dio e attirando nella passione Oloferne per poi tagliargli la testa con uno stratagemma. Scarlatti, anche grazie alla drammaturgia di Pietro Ottoboni, compone qui un Oratorio dall'elevatissimo livello artistico, mantenuto costantemente in ogni parte, dalle arie per solisti e le linee vocali complesse alla perfezione del contrappunto; ed infatti ne ottenne un meritato successo internazionale. Un successo, già. Cose d'altri tempi.
I Turchini e la scrittura sacra delle Lamentationes
La Fondazione Centro di Musica Antica Pietà de’ Turchini, che dedica la sua energia alla valorizzazione dell'immenso patrimonio musicale e teatrale napoletano dei secoli XVI-XVIII e dei suoi influssi sulla musica contemporanea europea, trova invece nelle Lamentationes Hieremiae di Fabrizio Dentice l'occasione per aprire una nuova stagione di ricerca e studio delle preziosità di questo repertorio, intitolata Estro e Compassione.
L'inaugurazione infatti ha affidato all'ensemble De labyrintho, diretto da Walter Testolin, l'esecuzione di un testo della Napoli tardorinascimentale pubblicato nel 1593 a Milano (già allora con grande dispendio di energia, essendo introvabile) e oggi ancora pressoché sconosciuto, sebbene testimonianza straordinariamente elaborata della polifonia applicata al testo biblico che racconta la distruzione di Gerusalemme e la deportazione del popolo a Babilonia.
L'evacuazione della città e il turbamento di un popolo intero dal glorioso passato e dall'annientamento del presente: sentimenti su cui la partitura incede con piccole ma efficaci tratti dissonanti e tensioni armoniche sapienti, il tutto intervallato da tre ulteriori scritture dell'organista Ascanio Mayone, Giovanni Maria Trabaci e del principe Carlo Gesualdo da Venosa.
Tre momenti di alta concentrazione e portata culturale, per il valore dell'originalità e della ricerca. Un bel principio, un sorridente passo nel non facile cammino della proposizione artistica e della scoperta e/o riscoperta del patrimonio musicale meno conosciuto, una congiuntura che già di per sé fa senz'altro onore alle intelligenze artistiche ed al favorevole clima di accoglienza in cui si sono calate.